Recensione d’arte

Galbiati, artista dell’aldiqua (1990)

Saverio Galbiati è un artista ossessionato da una spiritualità geotermica che sfrolla sulla tela grumi color carciofo, quasi accenni a surgelati moti d’anima che il tempo soffrigge e la ragione allontana in una siderale equidistanza dal tutto.

Per essere più chiari, diciamo che Galbiati fa due a zero a tavolino con il fato, ovvero non aspetta la Storia ma la chiama al telefono e si incazza per il ritardo. 

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In tale anelito, che vuole opporsi alla crudeltà del destino e ai pagamenti oltre i 30 giorni, assumono particolare rilievo le tele che vanno dal 1981 (anno del suo primo matrimonio) al 1989 (anno in cui trovò la seconda moglie e comprò la terza casa). Ora queste opere di Saverio Galbiati sono state raccolte da Lucia Galbiati, grazie all’impegno personale dell’Assessore Franco Galbiati e al patrocinio del Dipartimento Belle Cose e Grandi Gesti del Comune di Barlonia. Hanno dato il loro appoggio anche l’Associazione culturale “Poesia nell’aere” e lo sponsor “Cicciobello, culo fresco”

Al di là dell’innegabile valore, la mostra non è però esente da errori. Una su tutte: l’esclusione della tela del 1986, “Due etti di prosciutto, e poi in taxi”, tappa decisiva dell’evoluzione che ha condotto Galbiati dal dadaismo sfuso al cubismo a zona, poi sfociato nel post-impressionismo di Bergamo bassa (da non confondere col neo impressionismo di Bergamo alta, portato avanti dall’altro grande Galbiati del secolo scorso, Oreste). 

“La mostra colma una lacuna storica della cultura italiana”, ha detto il sottosegretario alla cultura Willy Galbiati, presente all’inaugurazione. 

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