Lezioni di talento – C: Tutto quel che avreste voluto sapere sul talento e non hanno mai osato dirvi

Ricevo, come chiunque scriva per mestiere, diversi scritti da persone che mi chiedono un’opinione. Da un po’ non leggo più per mancanza di tempo, ma per vari anni l’ho fatto, dando anche risposte molto dettagliate. Ma quasi sempre mi sono accorto con stupore di una cosa: chi manda testi in lettura, a parte rari casi, è già consapevole dei difetti del proprio scritto.

Allora perché perde tempo a cercare un’opinione? Perché non usa quel tempo per lavorare sui difetti del testo ed eliminarli?

Il fatto è che la vera richiesta non è quasi mai un parere sullo scritto. L’aspirante scrittore vuole sapere dal professionista se ha talento sufficiente oppure no. Vuole un verdetto. Una sorta di analisi del sangue.

È un atteggiamento che capisco perfettamente (da giovane l’ho avuto per troppi anni), ma è sbagliato. Come dicevamo prima, domande tipo “avrò talento?” provocano dubbi inutili.

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Il fatto è che talento è una parola bella ma imprecisa. La parola precisa (che giustamente non si usa perché è orribile) sarebbe talentuosità. Che è come la puntualità, l’affidabilità, la responsabilità e tutte le parole che finiscono in tà-tà-tà. Descrivono capacità. Cose che, se uno vuole, le impara.

Fate una prova: prendete 10 autori che ritenete geniali e cercate i loro testi giovanili. In 9 casi su 10 scoprirete che la genialità che vi incanta, da giovani non ce l’avevano. Il talento è qualcosa che hanno perfezionato. Che hanno imparato col tempo.

Poi è vero, in 1 caso su 10 scoprirete che a 20 anni qualcuno aveva già un talento maturo, beato lui, o lei. Ma poi in questi casi, in genere da adulti sono peggiorati. Per loro il talento è qualcosa che si perde. Che si disimpara.

Ecco qua la definizione del talento: qualcosa che si impara e si disimpara nel tempo. Non è una magia o una benedizione ma un percorso: un duro percorso, fatto di fatica, impegno interiore e tante ore di applicazione, ma un percorso.

È ovvio che qualcuno è più portato a intraprenderlo di altri. Vale per tutte le parole in tà-tà-tà: chi di natura tende a essere irresponsabile, per imparare la responsabilità dovrà farsi un gran mazzo.

Per il talento è uguale. E siccome il talento (al contrario della responsabilità) non è indispensabile per vivere, si sconsiglia di intraprendere il percorso a chi non sia già un po’ portato.

Se farlo o no, è affar vostro. La decisione di intraprendere il percorso del talento è personale e nessuno può prenderla per voi. Ma è una decisione che va presa, magari dandosi un tempo di verifica (“ci provo per un tempo X poi vedo”). Però dovete decidere se volete fare questo percorso o no.

Se decidete “no”, amen. Se decidete sì, non chiedetevi mai più “avrò talento?”. Se avete deciso sì, la domanda che vi dovete fare d’ora in poi è un’altra: “come aumentare il mio talento”. Proviamo a vedere come.

La lezione non è finita ma ci sono 30 secondi di pubblicità da parte di chi ha reso possibile questo Corso gratuito: vi prego di aprirla 🙂

OK, SONO SEMPRE IO

Il corso è un regalo, sta qua dal 2009 e non l’ho mai usato per promuovere le mie cose. il-giro-della-verita-fabio-bonifacci
Faccio eccezione per questo romanzo a cui tengo in modo particolare.

Perché è il mio primo vero romanzo, perché sognavo di farlo da quando ero bambino, perché secondo me è  molto bello.

Puoi leggerlo perché ti piace lo stile con cui è scritto il sito.
Per capire se e come le regole del corso funzionano nella pratica di una narrazione. 
Perché frequenti il sito da anni e se ti dico che è bello, ti fidi.
Perché non ti fidi, e vuoi scrivere una stroncatura che sarà pubblicata qua.
Perché il romanzo sinora è piaciuto molto a chi lo ha letto. 

Oppure puoi non leggerlo, io capirò: la vita è breve e i libri sono tanti. Però un po’ mi dispiace.

Qua puoi saperne di più. E grazie per l’attenzione.

Anatomia del talento

Proviamo a definire il talento scomponendolo in alcune caratteristiche di base (l’elenco è incompleto, non siamo all’università):

  • capacità di avere belle idee, e di averne molte
  • senso estetico e\o senso del ritmo
  • capacità di sintonizzarsi con ‘quel che gira nell’aria’ (cioè quel che già c’è ma ancora non si sa che c’è)
  • empatia, cioè capacità di sentire cosa provano gli altri (ha un duplice uso: ci serve per sentire quel che prova il personaggio ma anche quel che prova il pubblico e a prevedere le sue emozioni)
  • avere una visione del mondo personale, vera e interessante
  • avere sensibilità per il genere specifico che si è scelto, per il linguaggio che si sta usando, eccetera
  • avere uno stile personale
  • avere la capacità di lavorare 8 ore al giorno, e concentrati (“Il genio è sedersi a tavolino ogni giorno alla stessa ora”, Flaubert)
  • avere un gusto profondo per la riscrittura e la revisione, perché “scrivere è riscrivere”
  • avere una grande severità nel giudicare se stessi, e al tempo stesso la capacità di non dare troppo peso ai giudizi del mondo, continuando sulla propria strada
  • altre qualità a piacere che ciascuno può decidere (perché ognuno si crea anche il proprio specifico talento)

Bene, l’eterna domanda “avrò talento?”, già adesso ha meno senso: è chiaro che ciascuna di queste singole caratteristiche si impara. Basta scindere la parola magica in una serie di capacità specifiche, per rendersi conto che ciascuna può essere migliorata.

Per fare un esempio, vi racconto quali sono stati i miei personali “esercizi di talento”. Non sono i migliori né gli unici. Ve li cito solo perché sono veri, concreti e sperimentati in prima persona. Servono come base per inventare i vostri personali “esercizi di talento”.

Riprendiamo quindi le caratteristiche che sopra abbiamo individuato facendo la “anatomia del talento”: come sfida, partiamo da quelle che sembrano più “innate” e poco adatte ad essere sviluppate con l’esercizio.

Capacità di avere idee belle, e di averne molte.

Chi lavora con me spesso dice che sono molto “creativo”, cioè che ho un numero elevato di idee. Sembra il classico dono di natura, e magari in parte lo è, non lo so: ma di sicuro è una cosa che ho allenato moltissimo. Ho iniziato intorno ai 22-23 anni, dopo aver letto una sul giornale (attenzione, cito a memoria dopo 20 anni, quindi non sono certissimo che i nomi siano quelli giusti) che Tonino Guerra e Andrè Breton si trovavano ogni mattina in un bar di Parigi e facevano un gioco: uno diceva una parola, l’altro doveva costruirci sopra una piccola storia in 2-3 minuti. Lo facevano per un’oretta poi andavano alle rispettive occupazioni.

Mi trovavo in una di quelle fasi giovanili ben riassunte dal termine “cazzeggio”, così ho fatto per alcuni mesi questo gioco, anche se da solo perché non avevo amici così pazzi. Trovavo una parola a caso (da un giornale, dal dizionario, ecc) e ci costruivo mezza pagina di racconto al volo. L’ho fatto per alcuni mesi, al termine dei quali la mia capacità di produrre idee era letteralmente triplicata. In seguito ho continuato a fare l’esercizio in modi più sofisticati: ad esempio inventavo articoli per un mensile di notizie false, che poi ho buttato via quando avevo ormai i numeri per un anno intero. Anche oggi, in certi giorni di stanca, apro il giornale, leggo una breve di cronaca da 5 righe, e ci scrivo un soggetto. Così, per tenermi in forma. Poi lo butto via.

La capacità di produrre idee l’ho coltivata anche con le scelte di lavoro. Quando un lavoro raggiungeva la fase di routine e non serviva più creatività, ne cercavo un altro: in vari casi sono andato a guadagnare meno o a fare cose meno importanti, però volevo essere costretto a produrre nuove idee.

Morale: io non so se sono davvero “creativo” (magari lo dicono solo per lusingarmi per ottenere da me prestazioni sessuali, chissà…) però se lo sono è una capacità che ho in buona parte imparato. Se era un dono di natura, l’ho allenato moltissimo.

Se volete avere più idee, fate per 2 o 3 mesi questo esercizio, e vedrete…

Senso estetico e\o senso del ritmo

Si tratta di una dote essenziale perché, come diceva Andy Warhol, “non so cos’è l’arte, ma so che un attimo prima e un attimo dopo è merda”.

Lasciando stare l’Arte, è certo che la capacità di chiudere al punto giusto una frase, una scena o una storia è essenziale. Anche questa è una dote che si può affinare con la pratica, ad esempio passando il proprio tempo con i maestri della propria disciplina anziché con le schifezze. Se passate ore a guardare le soap è difficile che poi scriviate film alla Hitchock o romanzi alla Milan Kundera.

Quando desideravo scrivere sceneggiature, mi sono inventato un esercizio: prendevo i film che mi emozionavano di più e, andando avanti con l’avanzamento veloce, riscrivevo la sceneggiatura. Non la cercavo su Internet, non la leggevo su un libro: la riscrivevo riguardando il film a pezzettini. È un esercizio faticoso (per un film puoi impiegare due o tre giorni) ma è potentissimo, perché fai a ritroso il percorso degli autori. In pratica devi immaginare come avevano pensato sulla pagina quell’effetto così bello che poi hai visto sullo schermo. Entri nella testa dei creatori e fai il loro percorso al contrario.

Metà delle cose che ho imparato sul mestiere di sceneggiatore, le ho imparate così. Basta un videoregistratore e una risma di carta. È l’antica (e sottovalutata) pedagogia del “ricopiare”. Questo per me è stato un grande esercizio di talento.

Lo si può fare ovviamente anche coi romanzi. Prendete un romanzo che vi è piaciuto, e scomponetelo per capire la struttura “architettonica” che lo sorregge. Provate a scrivere un “nuovo capitolo” con lo stesso identico stile dell’autore. Eccetera eccetera.

Capacità di anticipare le cose, cioè sintonizzarsi con ‘quel che gira nell’aria’ (cioè quel che già c’è ma ancora non si sa).

Anche questo parrebbe un dono, ma non lo è affatto. Quanto siete curiosi degli umani? Quanto vi interrogate sul futuro? Quanti rapporti del Mit (o del Censis) vi siete letti nell’ultimo anno? Quando conoscete una persona quante domande gli fate per capire cosa pensa, come se la passa, dove va il suo settore o la sua azienda o la sua vita personale? Non serve farla tanto lunga, il concetto è chiaro: per sintonizzarsi con “quel che gira nell’aria” bisogna essere curiosi sul mondo e il suo futuro. Tra l’altro questa caratteristica, utile in tutto, è ormai indispensabile per il cinema. Oggi per fare un film in Italia possono servire 4 o 5 anni (a me è capitato anche di più). Se tu parli del presente, quando il film esce parla del passato. Devi per forza individuare temi che valgano nel presente ma restino validi qualche anno. È una sorta di necessaria capacità professionale.

Empatia, cioè capacità di sentire l’altro. Sentire quel che provano il personaggio, il lettore o lo spettatore.

Questa è una delle qualità più importanti per scrivere. Il nostro compito non è giudicare i personaggi ma sentirli, viverli da dentro, farli muovere con la loro propria energia. Questa capacità essenziale io l’ho allenata in molti modi. Ad esempio, sempre negli anni di cazzeggio giovanile, mi scrivevo una paginetta su ogni persona che conoscevo, anche di sfuggita. Cercavo di immaginare chi era, cosa provava, di cosa aveva paura, cosa sognava. Spesso non sapevo nulla, dovevo inventare, dedurre da una parola sentita, da un gesto, da uno sguardo abbassato su un certo argomento. Questo è allenare l’empatia. Nella vita quotidiana ci sono mille modi per farlo. Tra l’altro fa pure bene ai rapporti.

Conclusioni.

  1. È inutile continuare all’infinito, il ragionamento s’è capito. Se avete deciso di scrivere, la domanda da porsi non è “avrò talento?”, ma “come migliorare il mio talento?”. Ovviamente quelli sopra non sono gli “esercizi giusti”, sono quelli che ho fatto io, perché servivano a me. Ognuno può (deve) inventare i propri “esercizi di talento”.
  2. È chiaro che al mondo nessuno (me compreso) s’è mai detto “oggi faccio un esercizio di talento”. Semplicemente si tratta di imparare a trascorrere il proprio tempo coltivando passioni e abitudini che tendano a sviluppare la capacità di scrivere e non a deprimerla. Se uno passa le sue serate col gossip, i reality e la Champion’s, poi non serve che si danni l’anima a spedire i suoi manoscritti per sapere se ha talento. Glielo possiamo dire fin d’ora: non ce l’ha.
  3. In sintesi. Il talento non è tanto una questione di lotteria (mi hanno estratto o no?) ma di condotta: si tratta di spendere bene il proprio tempo per tanto tempo. Fatelo, e il talento crescerà. Passate il tempo a chiedervi “ho talento?” e restate fermi dove siete.
  4. Va infine ricordato che il talento nella scrittura non è indispensabile per vivere, non serve per avere successo, in genere non rende ricchi e non procura incrementi apprezzabili alle proprie chance sentimentali o erotiche. Quindi si consiglia il percorso solo a chi è già predisposto, sennò davvero non ne vale la pena. Però se lo iniziate, non fatevi più domande inutili. Siete scrittori? Bene, allora inventatevi un Dio che vede nella vostra testa e dice “se ti becco ancora a chiederti ‘avrò talento?’, ti fulmino all’istante”. E credeteci!

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